Onorevoli Colleghi! - Nel nostro Paese, secondo indicazioni diffuse, si registra ogni anno una domanda insoddisfatta di casa che coinvolge un milione e seicentomila famiglie.
      Inoltre, negli ultimi anni il costo della casa è aumentato in maniera vertiginosa.
      Contemporaneamente le case concesse in affitto sono diminuite di circa un terzo.
      Le dismissioni del patrimonio abitativo di enti pubblici e previdenziali, non controbilanciato dall'offerta sostitutiva di nuovi alloggi da parte degli istituti o delle aziende provinciali per l'edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, produrranno certamente un'ulteriore riduzione delle possibilità di trovare casa in locazione.
      A ciò si aggiungano i non esaltanti effetti sociali delle gestioni dello stock abitativo di gran parte delle stesse aziende o istituti per l'edilizia residenziale pubblica, che, a causa di impostazioni di tipo burocratico, vedono ridotte le possibilità d'impiego delle case pubbliche a favore di un maggior numero di utenti.
      Gli alti costi di acquisto degli alloggi e le rigidità del mercato degli affitti rallentano così l'uscita dalla famiglia d'origine, rendono più difficile il matrimonio dei giovani e impediscono quella mobilità sul territorio, necessaria ai nuovi sistemi di produzione e al nuovo mercato del lavoro.
      Il problema della casa, quindi, benché in forme diverse rispetto al passato, si ripresenta, oggi, come una vera e propria emergenza che nasce, schematicamente, dall'incrocio di una domanda praticamente illimitata che proviene da fasce deboli a basso reddito (ma anche da ceti medi, da giovani e da lavoratori in mobilità) e, dall'altro lato, da un'offerta ridotta e a costi via via crescenti.
      Fino alla metà degli anni '90, a livello centrale, la questione della casa è stata affrontata praticando soprattutto due vie: quella urbanistica, volta a facilitare il reperimento di aree e, in seguito, l'integrazione

 

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operativa di soggetti pubblici-privati; e quella dei trasferimenti di sostegni finanziari, attinti per lo più dal conto comune delle contribuzioni obbligatorie GESCAL, ora abolite.
      Allo stato dell'arte della devoluzione di competenze e funzioni (decreto legislativo n. 112 del 1998 e modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) la strada di una normativa nazionale a contenuto urbanistico per intervenire sul problema della casa, anche attraverso l'incentivazione di forme di coordinamento pubblico-privato per rafforzare l'offerta di edilizia in locazione a canoni moderati, appare verosimilmente poco praticabile.
      Essa si presenta, infatti, stretta da un lato dalla doverosa astrattezza che deve avere la «normazione di princìpi» che in questa materia compete allo Stato, e complicata, dall'altro, dalle fughe in avanti di moltissime regioni, alcune delle quali hanno pensato di effettuare la provvista di aree da destinare all'edilizia pubblica, prevalentemente attraverso l'istituto della «perequazione», diverso da regione a regione.
      Per ciò che concerne il trasferimento di sostegni finanziari, è lo stesso decreto legislativo n. 112 del 1998 che affida, per così dire residualmente, al livello centrale soltanto la gestione, concertata con le regioni e gli enti locali, «di programmi di edilizia residenziale pubblica» avente interesse nazionale, il cui onere è coperto, in tutto o in parte, eventualmente con la legge finanziaria statale.
      Certo è che la questione del bisogno e del disagio abitativi, così incidente sulla formazione e sulla stabilizzazione di nuclei familiari, e quindi sulla cifra demografica e sul futuro socio-economico del Paese, non può essere lasciata a se stessa, in attesa di nuove idee e di nuove risorse.
      Si ritiene perciò opportuno, perché troppo tempo non intercorra fra le segnalazioni dei bisogni (espressi ormai anche in forma di scontento sociale, specie nelle città dove è più sentita la minaccia degli sfratti esecutivi) e l'attivazione di rimedi, proporre taluni correttivi all'attuale assetto normativo volti a incoraggiare risparmio e diritto alla casa, incentivando l'acquisto e le scelte di locazione a canoni moderati.
      Per ciò che concerne il primo aspetto (favorire l'accesso alla prima casa in proprietà) assai efficace e conveniente appare ancora la modalità dei mutui, anche agevolati con contributi pubblici in conto interessi, nell'ambito di interventi di edilizia convenzionata, e convenzionata-agevolata.
      Lo stesso sistema bancario conferma che oggi la domanda di chi vuole acquistare casa va sempre più orientandosi verso mutui edilizi a lungo, o lunghissimo, periodo di ammortamento (per permettere rate di restituzione «sopportabili»), e di ammontare tale da coprire, se possibile, l'intero prezzo dell'alloggio.
      La delibera CICR 22 aprile 1995, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 1995, recante norme in materia di credito fondiario, dispone invece che l'importo di un mutuo fondiario erogato non possa eccedere l'80 per cento del valore del bene ipotecato.
      Questa previsione determina una particolare condizione di disagio nel comparto dei mutui fondiari per iniziative realizzate da imprese o da cooperative edilizie.
      Per gli interventi di edilizia convenzionata realizzati da questi soggetti, infatti, la gran parte degli istituti di credito tende a far coincidere, presuntivamente e automaticamente, il «valore dell'alloggio» con il «prezzo di cessione» (nel caso di imprese) o «di assegnazione» (nel caso di cooperative edilizie) stabilito nel rogito notarile, con l'accollo del mutuo da parte dell'acquirente o del socio.
      Questo prezzo, proprio perché convenzionato con il comune per favorire l'accesso alla prima casa a fasce a medio reddito, nello spirito agevolativo di questo tipo di edilizia, è sempre inferiore al valore di mercato dell'alloggio.
      Sul punto, la stessa giurisprudenza ha evidenziato anche in tempi relativamente recenti (tribunale di Padova, 12 luglio 1999) che, in caso di esecuzione forzata, il prezzo base di aggiudicazione dell'alloggio
 

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messo all'asta deve corrispondere al valore di mercato dell'alloggio, e non a quello dei prezzi di «cessione» o «di assegnazione», praticati dalle imprese ai propri acquirenti e dalle cooperative ai propri soci.
      Con la presente proposta di legge (articolo 1) si intende intervenire direttamente sull'articolo 38 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385.
      Lasciando immutato il resto, si propone di introdurre nell'articolo un comma aggiuntivo atto a disporre, in via derogatoria, che nel caso di acquisto della prima ed unica casa d'abitazione in interventi di edilizia convenzionata, l'importo di un mutuo edilizio in capo all'acquirente può ammontare, su richiesta del mutuatario, fino al 100 per cento del prezzo massimo stabilito in rogito, senza comportare la necessità dell'accensione di ulteriori garanzie.
      Questa integrazione non appare in contrasto con lo spirito di quanto previsto nell'accordo di Basilea 2, che entrerà in vigore il 1o gennaio 2007 e che, in merito ai finanziamenti ipotecari residenziali, prescrive che gli istituti bancari abbiano a fissarne la perdita presunta nella misura non inferiore al 10 per cento del valore del bene ipotecato.
      Per ciò che concerne il secondo punto, non si può non sottolineare come, oggi, ogni decisione di destinare alloggi in locazione si scontra con un regime impositivo che scoraggia i proprietari da questo tipo di investimenti.
      Si ritiene, quindi, opportuno proporre correttivi in riduzione a tre imposte connesse con la casa: imposte sul valore aggiunto (IVA), imposta di registro, imposta sui redditi.
      Riguardo all'IVA dovuta all'impresa costruttrice che vende una nuova abitazione (articolo 2), si propone di applicare - per il periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge - l'aliquota agevolata del 4 per cento, nel caso di acquisto da parte di privati e di società che si impegnino, in sede di rogito, a destinarla per almeno dodici anni a locazione a canoni concordati ai sensi della legge n. 431 del 1998.
      Nel merito dell'imposta di registro (articolo 3) sulle compravendite tra privati che interverranno entro il periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, si propone di portarne dal 7 per cento al 3 per cento l'aliquota, nel caso in cui l'acquirente si impegni, in sede di rogito, a destinare per almeno dodici anni a locazione a canoni concordati, ai sensi della legge n. 431 del 1998, gli alloggi acquistati; le accessorie imposte ipotecarie e catastali andrebbero pagate in cifra fissa (129,11 euro), come nel caso di acquisito di «prima casa».
      Quanto all'imposta di registro sul canone di locazione annuo per gli alloggi in questione, da corrispondere al momento della registrazione del contratto e ogni anno successivo per tutta la durata di questo, se ne propone l'abbattimento allo 0,50 per cento, suddiviso a metà tra locatore e conduttore.
      Per quanto riguarda l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), è noto come nel caso di privati locatori i redditi degli immobili, calcolati dal rapporto tra rendita catastale e proventi di locazione, sono cumulati per l'85 per cento con gli altri redditi sottoposti ad IRPEF, e tassati secondo le aliquote previste per tale imposta.
      Con la presente proposta di legge (articolo 4) nel caso in cui il privato proprietario destini a locazione a canone concordato per almeno dodici anni l'alloggio a conduttori che l'adibiscano a prima ed unica casa, o a casa per ragioni di mobilità, si propone di detrarre dal reddito imponibile del proprietario il 60 per cento dell'ammontare complessivo dei canoni.
      Nel caso di imprese di costruzione o di società immobiliari, si prevede che gli alloggi destinati - entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge - a locazione a canoni concordati per almeno dodici anni a conduttori che li adibiscano a prima ed unica casa, o casa per ragioni di mobilità, concorrano alla determinazione del reddito d'impresa a costi e ricavi:
 

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in tale modo l'azienda sarà titolata a detrarre fiscalmente, alla stregua di altri beni strumentali, gli interi costi di quegli immobili (ammortamenti, interessi passivi, costi di manutenzione, eccetera).
      All'articolo 5 si prevede che i benefìci di eventuali programmi finanziati o cofinanziati dallo Stato non possano essere rivolti a comuni che non abbiano provveduto a riduzioni dell'aliquota dell'imposta comunale sugli immobili a favore di proprietari che locano a canoni moderati (concordati, agevolati, convenzionati).
      La presente proposta di legge non ambisce a porsi come un provvedimento di riordino strutturale e generale del sistema delle locazioni: ma - proprio ora che sono in fase di realizzazione i programmi della legge 8 febbraio 2001, n. 21, per aumentare il numero di alloggi in affitto e altri programmi di molte regioni - intende perseguire, attraverso modalità di incentivazione circoscritte nel tempo, l'obiettivo minimale, ma non trascurabile, di imprimere una «scossa» per ridare più consistenti e visibili effetti sodali ad un settore, quello delle locazioni a canoni moderati, organico ad ogni modello di welfare, e che tuttavia, specialmente per ciò che concerne la modalità dei «canoni concordati» previsti dalla legge n. 431 del 1998, non ha ancora risposto significativamente alle attese.
 

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